Negli ultimi tempi sono emerse varie società che hanno intrapreso un percorso, strumentale, di trasferimento all’estero della propria sede al solo fine di sottrarsi alla dichiarazione di fallimento all’interno dell’ordinamento Italiano.

Tale pratica, pur avendo creato molti problemi e incertezze sulla possibilità di dichiarare il fallimento è stata chiarita dalla Cassazione.

In caso di trasferimento della sede all’estero la Corte Suprema di Cassazione si è pronunciata in favore della giurisdizione dei giudici italiani.

La vicenda processuale trae origine dall’istanza di fallimento presentata da alcuni creditori nei confronti di una società con sede in Italia che, pochi giorni prima della presentazione dell’istanza di fallimento, si era iscritta nel Registro delle società della Bulgaria.

I motivi che hanno spinto la Cassazione a ritenere competente il Tribunale Italiano per la dichiarazione di fallimento sono i seguenti: 1)  il trasferimento della sede della società all’estero aveva preceduto di meno di un anno la prima istanza di fallimento. 2)  il conferimento alla compagna dell’amministratore della società fallita, da parte dell’amministratore della società estera, di una procura generale ad agire sia in Italia sia all’estero in nome e per conto di tale società estera; 3) l’assenza di concreta ed effettiva operatività all’estero.

In base a questi tre motivi, la Suprema Corte ha riteuto fittizio il trasferimento della sede all’estero, nel caso specifico in Bulgaria, da parte della societa’ fallenda, poiche’ il centro degli interessi di tale società continuava a trovarsi in Italia e non in Bulgaria.

La questione è stata anche sottoposta al vaglio della Corte di Giustizia dell’Unione Europea che ha confermato, seppur su diverse basi, la decisione della Corte Suprema di Cassazione.

Infatti anche per la CGUE il trasferimento della sede in un altro Stato membro come la Bulgaria, con la permanenza in Italia del centro degli interessi principali dell’attività, non blocca la procedura di fallimento e la competenza dei giudici italiani.

La CGUE afferma e ricorda che l’articolo 3 del Regolamento 1346/200 del Consiglio, del 29 maggio 2000, relativo alle procedure di insolvenza fissa le regole per la determinazione del giudice competente.

La norma a cui sia i Giudici Italiani che Bulgari devono conformarsi è la seguente:

Art. 3 . 1 Sono competenti ad aprire la procedura di insolvenza i giudici dello Stato membro nel cui territorio è situato il centro degli interessi principali del debitore. Per le società e le persone giuridiche si presume che il centro degli interessi principali sia, fino a prova contraria, il luogo in cui si trova la sede statutaria.

Art. 3 . 2 Se il centro degli interessi principali del debitore è situato nel territorio di uno Stato membro, i giudici di un altro Stato membro sono competenti ad aprire una procedura di insolvenza nei confronti del debitore solo se questi possiede una dipendenza nel territorio di tale altro Stato membro. Gli effetti di tale procedura sono limitati ai beni del debitore che si trovano in tale territorio.

I giudici europei hanno confermato la competenza dei giudici italiani in caso di fallimento, in base alla determinazione del luogo in cui si realizzano degli interessi principali che, nel caso in esame si trovavano ancora in Italia e non in Bulgaria.

Il centro degli interessi principali coincide sostanzialmente con il luogo di amministrazione della società. Ciò sulla base di elementi oggettivi riconoscibili da terzi.

In buona sostanza occorre prendere in conto i luoghi in cui la società debitrice esercita l’attività economica, i luoghi in cui detiene i beni, l’esistenza di contratti di gestione finanziaria gestiti in uno Stato membro diverso da quello della sede statutaria.

Dalla valutazione globale degli elementi rilevanti sopra descritti, e’ possibile determinare la competenza dei giudici dello stato di origine, superando pertanto la presunzione di competenza dei giudici dello stato membro ove è stata fissata la sede statutaria.

Conseguentemente il trasferimento fittizio della sede legale dall’Italia alla Bulgaria, utilizzato da alcuni, non ha retto all’esame della vicenda processuale sia in Italia, con il pronunciamento della Cassazione sulla base della legislazione nazionale, che per la Corte di Giustizia dell’Unione Europea che ha chiaramente delineato la giurisdizione applicabile.